In occasione della giornata mondiale contro i test nucleari, scopriamo insieme perché è ancora opportuno puntare alla sensibilizzazione
La scienza è l’arma più forte in assoluto, ma la storia ci insegna anche quanto sia deleteria se gestita dalle mani sbagliate. E’ emblematico l’esempio di Fritz Haber, padre dell’importantissimo metodo Bosch-Haber. Quest’ultimo – processo cardine dell’industria chimica – permette di produrre, tramite l’utilizzo di un opportuno catalizzatore, ammoniaca a partire da azoto e idrogeno. Lo stesso chimico tedesco, tuttavia, ha anche creato la prima arma di distruzione di massa della storia, a base di cloro gassoso e fosgene. Quest’ultima, nel corso della Prima Guerra Mondiale, ha causato più di 80.000 vittime e oltre un milione di feriti.
Haber è solo uno dei tanti nomi presenti sulle pagine più nere della storia. Un altro chiaro esempio di cattivo impiego della scienza risiede nell’ambito delle armi nucleari. Queste, a differenza delle prime, sono tuttora motivo di preoccupazione da parte dell’ONU. Tale condizione è stata particolarmente aggravata, nel corso degli ultimi anni, dalla promozione di nuovi test da parte della Corea del Nord. A partire dal 2009 le Nazioni Unite hanno istituito, in data 29 agosto, la Giornata Mondiale contro i test Nucleari. Scopriamo insieme per quale motivo è nata quest’iniziativa e perché sarebbe bene sostenerla.
Cosa sono i test nucleari e perché vengono svolti
Per comprendere le ragioni nascoste dietro questa pratica, introduciamo un esempio molto banale. In cucina, per verificare il raggiungimento della temperatura ottimale dell’olio da frittura, si lascia cadere un piccolo pezzettino di alimento all’interno della padella. Se il contatto col fluido causa la formazione di bolle e l’emissione del famoso “scricchiolio”, si può procedere con la cottura dell’intera pietanza. Prova ad ingrandire la scala di tale fenomeno: un test nucleare consiste nel causare un’esplosione in ambiente protetto di un ordigno per sperimentarne la potenza. Diversi sono gli esempi forniti dalla storia.
Il primo in assoluto fu effettuato dagli Stati Uniti nel deserto di Jornada del Muerto (Nuovo Messico), nel lontano 16 luglio 1945. Esso è stato realizzato solo qualche settimana prima del tragico sgancio di Little Boy e Fat Man, le due bombe che hanno raso al suolo rispettivamente le città nipponiche di Hiroshima e Nagasaki. La Corea Del Nord ha promosso l’ultima esercitazione a Punggye-ri, nel 2017: in quel caso, il test ha provocato due terremoti di magnitudo 6.3 e 4.6.
Quali sono i rischi principali?
So già a cosa stai pensando: e se, per errore, l’obiettivo di un test diventasse una zona abitata? Purtroppo, l’impatto di una bomba A non è neanche lontanamente paragonabile a quello di una cotoletta. In casi del genere, ad essere fritto sarebbe l’ecosistema della zona coinvolta, umanità inclusa. In poche parole, migliaia di chilometri potrebbero essere rasi al suolo in un solo colpo: ecco il principale motivo per cui è giusto incentivare un’opera di sensibilizzazione. Ci sono, però, delle conseguenze importanti che si registrano anche in presenza di un test riuscito.
Solitamente, questi vengono realizzati sotto terra ad una profondità di almeno 2400 metri o in fondali marini di almeno 600 metri. Nel primo caso, le emissioni radioattive arrecano danni solo ed esclusivamente in caso di rottura della superficie (ad esempio attraverso dei crolli). Nei test subacquei, d’altro canto, grandi quantità di materiale radioattivo, principalmente plutonio e uranio, contaminano le acque circostanti, aumentando l’incidenza di tumori e malattie genetiche e danneggiando irrimediabilmente la flora locale.
Fare in modo che l’emblematica foto raffigurante la nube a fungo di Nagasaki sia soltanto un ricordo relegato ai libri di storia è un dovere morale. In occasione della Giornata Mondiale contro i test nucleari è bene ricordare quanto sia importante impegnarsi affinché il pianeta resti un posto ospitale per tutti, nessuno escluso.
Lascia un commento