È il supervulcano più pericoloso d’Europa e potrebbe causare una catastrofe planetaria, spazzando via un’intera regione italiana. Il ciclo periodico delle attività dei Campi Flegrei sta uscendo dalla fase di quiescenza
Il fenomeno dei supervulcani è uno dei più estremi che possiamo incontrare nel nostro pianeta. Con questo termine indicano le più grandi caldere presenti sulla Terra, che possono avere un diametro di alcune decine di chilometri, come i Campi Flegrei aventi un diametro di 13 chilometri.
Un supervulcano non è un vulcano di grandi dimensioni, anzi non ha proprio un edificio vulcanico. In realtà nessuno mai ha registrato un’eruzione integrale di queste strutture vulcaniche perché esse sono tanto rare quanto distruttive; possono infatti provocare estinzioni di massa, modificare il paesaggio di intere regioni di territorio e modificare il clima globale. Tuttavia studiando le caratteristiche delle rocce circostanti alle aree intorno ai supervulcani si riescono ad individuare numerosi materiali riconducibili alle eruzioni vulcaniche, come il tufo – ottenuto dal deposito di materiale piroclastico – di cui il territorio intorno a Napoli e ricchissimo, proprio per la presenza dei Campi Flegrei. Studiando lo spessore di questi strati (che può essere fino a 100 volte maggiore del normale) si confermano le ipotesi sull’estrema pericolosità di questi fenomeni.
L’insieme di strutture vulcaniche che caratterizza il Golfo di Napoli
Il supervulcano è identificato da una caldera, ovvero quello che resta di un’esplosione antecedente: quanto tutto il magma presente all’interno della camera magmatica viene espulso, il terreno sovrastante collassa, lasciando una depressione nel territorio. Anche se la camera magmatica si “scarica” dopo l’eruzione, il flusso di roccia fusa che la alimenta spesso rimane attivo e da origine alle tipiche manifestazioni vulcaniche come i geyser, le fumarole e le sorgenti termali. Le eruzioni possono essere sia esplosive che effusive. Il tipo di esplosione è comunque strettamente correlato al tipo di magma che si trova nella camera, alla sua fluidità e anche alle caratteristiche morfologiche del territorio dove la camera viene a formarsi.
Nei supervulcani è stato individuato un comportamento ciclico. Una volta che il magma risale dal mantello a causa dei movimenti della crosta terrestre, tende ad accumularsi nelle camere magmatiche inferiori nelle profondità della crosta continentale. Da qui la roccia bollente tende a sciogliere gli strati superiori della roccia continentale che hanno una temperatura di fusione più bassa. Comincia così la risalita di flussi di magma verso la superficie e l’accumulo in camere magmatiche superiori. Quando queste ultime di riempiono di magma e gas ad alta pressione possono avvenire violente esplosioni: il terreno sovrastante collassa all’interno della camera e spinge il magma fuori, trasformandolo in materiale piroclastico. Le eruzioni possono durare a lungo, finché la camera non è quasi del tutto vuoto. Rimane quindi solo la conca della caldera. A questo punto il supervulcano entra in quiescenza e in attesa di accumulare nuovamente magma; questo periodo è in genere molto lungo. Chiaramente non è detto che l’esplosione si ripeta o che lo faccia con le stesse modalità perché con il passare dei millenni la configurazione geologica può subire vari cambiamenti. Spesso succede che l’eruzione del supervulcano non avvenga “tutta in una volta”, ma che la camera magmatica si svuoti poco per volta tramite una serie di fenomeni effusi circoscritti nel raggio di pochi chilometri. Nonostante ciò il rischio esiste ed in realtà non c’è molto che possiamo per difenderci.
Struttura del supervulcano di Yellowstone in Nord America
Campi Flegrei: il supervulcano italiano diventa più minaccioso
Una ricerca pubblicata su Science Advances sembra dimostrare che il supervulcano dei Campi Flegrei stia entrando nella fase di “ricarica”, accumulando materiale lavico nella sua camera magmatica. Purtroppo non è possibile stabile se questo porterà in futuro (un futuro molto distante, voi non preoccupatevi in ogni caso) ad una grande esplosione oppure se si manifesteranno solo delle piccole eruzioni come quelle avvenute circa 500 anni fa, i cui danni furono molto limitati e circoscrivibili nel raggio di 1 chilometro.
Campi Flegrei visti dall’alto
Il team coordinato dalla vulcanologa Francesca Forni, della Nanyang Technological University di Singapore con il supporto di Gianfilippo De Astis, dell’Istituto Nazionale di Vulcanologia (Ingv), e Silvio Mollo, dell‘università Sapienza di Roma, ha preso in analisi dei campioni di rocce prodotte dal magma relativo a 23 eruzioni avvenute nell’arco di circa 60.000 anni. Il segnale più forte sull’inizio di un nuovo ciclo di attività arriva dai resti dell’ultima eruzione, avvenuta nel 1538. Proprio in questa occasione venne alla luce il Monte Nuovo, una piccola struttura conica alta circa 133 metri costituito prevalentemente da tufo e altre scorie vulcaniche solidificate: una vera miniera d’oro per i vulcanologi.
Tra le rocce esaminate c’è anche la Ignimbrite Campana, originatasi in seguito ad una delle esplosioni più catastrofiche dei Campi Flegrei circa 39.000 anni fa; in quell’occasione flussi di magma, gas e materiale piroclastico seppellirono due terzi della Campania. Una seconda eruzione catastrofica avvenuta 15.000 anni fa è stata studiata grazie al Tufo Giallo. Queste due eruzioni furono responsabili dello sprofondamento dei Campi Flegrei e diedero forma alla complessa e vastissima caldera che oggi possiamo vedere con in nostri occhi.
Tufo giallo napoletano
Grazie all’analisi dei campioni risalenti a diversi periodi geologici i ricercatori hanno potuto evidenziare la ciclicità del supervulcano dei Campi Flegrei. Dopo lo stadio che provoca una massiccia esplosione che porta al collasso del suolo formando una caldera, il supervulcano entra in una fasi più tranquilla e caratterizzata da piccole e frequenti eruzioni tipicamente effusive, causate dalle piccole tasche di magma residue nella crosta dopo l’esplosione principale.
Il vulcanologo Gianfilippo De Astis ha spiegato all’agenzia ANSA:
Successivamente l’alimentazione delle eruzioni si dirada e può avvenire solo attraverso tasche di magma o attraverso l’arrivo di nuove piccole quantità di magma. In ogni caso la tendenza è verso piccole eruzioni come quella del Monte Nuovo. Per dare luogo a una grande eruzione è necessario che il serbatoio di magma si ricarichi e cresca. Secondo lo studio, i Campi Flegrei sarebbero nella fase di lenta e progressiva ricarica del serbatoio perché il magma dell’eruzione del Monte Nuovo ha caratteristiche simili, ad esempio nella composizione e nel rapporto tra vetro e cristalli, a quelle delle fasi iniziali delle eruzioni che hanno preceduto le due catastrofiche del passato.”
Come abbiamo già detto il tipo di magma è di fondamentale importanza per caratterizzare il tipo di eruzione. Gli studiosi quindi rimangono in allerta, anche se avranno davanti a loro probabilmente migliaia di anni prima di poter osservare un’esplosione di un supervulcano. Noi della sezione scienze di tuttoteK ci saremo? Speriamo di sì, anche se potrebbe essere l’ultima cosa che vi racconteremo.
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