Dagli strumenti della Stazione Spaziale Internazionale hanno rilevato un segnale proveniente da un buco nero mentre si nutriva di una stella. Grazie alle informazione registrate è stato possibile ricostruire la dinamica con cui il buco nero assorbe materiale
I buchi neri sono sicuramente i fenomeni più estremi dell’universo e anche i più interessanti. Come nel film “Interstellar” di Christopher Nolan, il buco nero rappresenta uno dei punti chiave per sciogliere i segreti che la gravità ancora nasconde ovvero una teoria della gravità quantistica che coniughi le leggi dell’immensamente piccolo del modello standard con l’immensamente grande della relatività generale. Le due teorie, per come sono concepite oggi, sono incompatibili e una delle due su deve rompere. Il punto di rottura potrebbe essere proprio un buco nero. Per questo gli scienziati sono particolarmente affascinati da questi fenomeni estremi.Â
Come sappiamo un buco nero è una regione dello spaziotempo con un campo gravitazionale talmente elevato che qualsiasi cosa di trovi nel suo raggio d’azione viene catturato. Il concetto è abbastanza semplice e si può spiegare anche senza ricorrere alla relatività di Einstein: per allontanarsi da un corpo celeste è necessario possedere una certa velocità di fuga ovvero una certa energia cinetica che deve essere superiore all’energia potenziale gravitazionale generata dalla massa del corpo stesso. La forza di attrazione e quindi la velocità di fuga dipende dalla massa del corpo celeste. Nel caso del buco nero la velocità di fuga è maggiore di quella della luce – che è un limite invalicabile – e quindi una volta entrati non si esce. Quello che succedo oltre l’orizzonte degli eventi è un mistero proprio per questo: nessuno informazione può uscire una volta entrata, in nessuno forma a noi conosciuta – anche se le teorie di Stephen Hawking hanno dimostrato che un buco nero può “evaporare” e quindi diminuire al sua massa emettendo l’omonima radiazione.Â
Schema che riassume il principio della velocità di fuga
Allontaniamoci un po’ dal punto di non ritorno quindi, dove possiamo ancora carpire alcune informazioni: le stelle intrappolate nel campo gravitazionale del buco nero, se sono abbastanza vicine, alimentano il mostro con copiosi flussi di materia. Spinta dall’enorme forza gravitazionale del buco nero la materia accelera e si riscalda creando il un disco di accrescimento formato da gas a milioni di gradi kelvin che ruotano vorticosamente ed emettono grandi quantità di radiazioni elettromagnetiche ad alta energia come raggi X e raggi gamma – pensate che se la Terra si trovasse sotto uno di questi potenti getti potrebbe essere polverizzata all’istante. Tuttavia questa grande quantità di energia rende visibili gli elusivi corpi celesti anche migliaia di anni luce di distanza. Proprio nel momento del pasto un buco nero si rende ben visibile agli strumenti e possiamo effettuare misurazioni per determinare alcune delle proprietà del corpo celeste in questione.Â
Getti di materia provenienti dal centro di una galassia probabilmente originati da un buco nero
Esistono buchi di diverse dimensioni e masse, dagli enormi buchi neri super-massicci che possono contenere una massa miliardi di volte superiore a quella del Sole in un raggio di milioni di chilometri, fino ai buchi neri stellari che contengono poche decine di masse solari in un raggio anche di poche migliaia di chilometri. Sembrerà strano, ma un buco nero super-massiccio è molto più tranquillo di uno stellare. L’orizzonte degli eventi del primo – che possiamo identificare con la superficie del buco nero e quindi il punto di non ritorno – si trova a milioni di chilometri dalla singolarità – il punto dove la curvatura dello spaziotempo è massima e quindi dove le forze di attrazione sono maggiori – e quindi i corpi celesti che vi si trovano in prossimità si mettono ad orbitare “tranquillamente” come i pianeti attorno al Sole o comunque “cadono” molto lentamente verso il buco nero. Nei buchi neri più piccoli invece la singolarità si trova molto vicina all’orizzonte degli eventi e quindi i corpi celesti che si avvicinano troppo vengono subito risucchiati a causa delle forze di marea – il gradiente della forza gravitazionale è talmente forte da deformare i corpi celesti e catturarne la materia. Sempre per via dell’estrema forza di gravità , questo fenomeno avviene in tempi rapidissimi, quasi umani e ci da la possibilità di studiarne l’evoluzione in tempo reale. Ed è proprio quello che hanno fatto gli occhi della Stazione Spaziale Internazionale.Â
Il buco nero al centro della Via Lattea e una delle stelle che vi orbitano intorno, protagonista di uno degli esperimenti che hanno dimostrato la relatività generale di Einstein
Astrofisica: il pasto di un buco nero in diretta
L’eco arrivato agli strumenti della Stazione Spaziale Internazionale proveniva da un buco nero con una massa di circa 10 volte quella solare, relativamente piccolo e giovane quindi. Il sistema binario che forma con la sua stella compagna si trova a 10.000 anni luce dal nostro pianeta, in direzione della costellazione del Leone. I dati sono stati poi elaborati dall’astrofisica Erin Kara, dell’università del Maryland e del Goddard Space Flight Center della Nasa e successivamente pubblicati sulla rivista Nature.Â
Le misurazioni sono state possibili grazie allo strumento Nicer (NASA’s Neutron star Interior Composition Explore) installato all’esterno della Stazione Spaziale. Si tratta di un dispositivo sensibile alle radiazioni ad alta energia come i raggi X, invisibili all’occhio umana, ma molto comuni nei fenomeni più estremi dell’universo come le stelle di neutroni e i buchi neri – molto spesso i due hanno un comportamento così simile che possono essere confusi.Â
Lo strumento Nicer della NASA montato sulla Stazione Spaziale Internazionale
Lo strumento ha catturato i raggi X emessi dal buco nero J1820 mentre risucchiava il gas della sua stella compagna. Le radiazioni emesse dalla materia ad altissima temperatura essenzialmente andavano a sbattere contro il disco di accrescimento e venivano riflesse. Lo studio dei dati a quindi permesso di ricostruire con grande precisione le variazioni di forma e dimensione del disco attorno al buco nero durante tutto il processo. Nel video pubblicato dalla NASA e allegato qui sotto viene spiegato in maniera semplice l’esito della ricerca. Kara ha spiegato l’importanza dello studio:Â
Finora eco di questo tipo erano state osservate solo nei buchi neri dalla massa miliardi di volte quella del Sole. Osservare il fenomeno in buchi neri come J1820, che si evolvono molto più velocemente, significa che possiamo vedere i cambiamenti nel materiale che li circondano su scale temporali umane.Â
Tramite queste ricerche possiamo recuperare in poco tempo grandi quantità di dati utili a capire come i buchi neri evolvono durante la loro vita, assorbendo altre stelle e quindi capire quale ruolo giocano nella formazione ed evoluzione delle galassie. Si pensa che la formazione di buchi neri primordiali sia il maggior motore della formazione galattica e che uno di essi si trovi al centro di ogni grande galassia dell’universo.Â
Illustrazione di un buco nero che assorbe materia dalla stella compagna
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