Alcuni ricercatori stanno tentando di realizzare degli acceleratori di particelle di dimensioni ridottissime, adatti per essere utilizzati in campo medico e industriale, limitando costi ed ingombri dei macchinari che oggi solo poche strutture possono permettersi
Siamo abituati a sentir parlare di acceleratori di particelle grandi come delle città, ad esempio il più famoso del mondo ovvero il Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra è un enorme anello di circa 27 chilometri. Infatti per raggiungere le mostruose energie necessarie ai moderni esperimenti di meccanica quantistica servono degli strumenti mostruosamente grandi. Le applicazione degli acceleratori di particelle tuttavia non si fermano alla ricerca scientifica. E sono stati vicini a noi più di quanto immaginiate: ricordate le vecchie TV a tubo catodico? Ebbene il tubo catodico non era altro che un acceleratore di elettroni, questi venivano sparati sullo schermo ricoperto di particolari sostanze che si illuminavano all’impatto. Modulando la velocità – quindi l’energia – e la traiettoria delle particelle era possibile comporre le immagini sulla TV. In sostanza tutti noi abbiamo avuto degli acceleratori di particelle in salotto!
I raggi catodici non sono altro che fasci di elettroni accelerati da un campo elettrico
Diversi tipi di acceleratori di particelle
La principale distinzione tra gli acceleratori riguarda l’energia – o equivalentemente la velocità – che sono in grado di imprimere alle cariche elettriche. Per le applicazione scientifiche moderne servono energie incredibilmente elevate. Il motivo è, spiegato in modo molto naive, che per rompere una particella nel sue componenti subatomiche bisogna riuscire a vincere contro interazioni molto intense (non a caso una di queste è detta forza nucleare forte) e quindi bisogna usare particelle ad altissime energia. Ma per proiettare sulle nostre retine i programmi della D’Urso basta molto meno. Anche se ci sono utilizzi molto più nobili come ad esempio in caso dell’imaging medicale.
Gli acceleratori di particelle vengono poi classificati in base al metodo utilizzato per accelerare le particelle. Ad esempio se la traiettoria è rettilinea parliamo di acceleratori lineari – ormai obsoleti per i moderni laboratori di fisica, ma diffusissimi nelle applicazioni industriali -, mentre altri possono avere una traiettoria circolare o a spirale (come il sincrotrone). Nel primo caso tipicamente si utilizza un campo elettrico per accelerare le particelle cariche, mentre nel secondo caso si combinano i campi elettrici per accelerare e quelli magnetici che fanno curvare la traiettoria dei fasci di ioni realizzando il “confinamento”: facendo girare le particelle si possono far percorrere distanze enormi alle particelle, impensabili per gli acceleratori di particelle lineari. Ma se avessimo molto meno spazio? Uno spazio della larghezza di un capello, tanto piccolo da poter essere integrato in un chip.
Schema di funzionamento di un sincrotrone: i più potenti acceleratori di particelle moderni, tra cui LHC, sono basati su questo schema
I primi acceleratori di particelle integrati
Questo miracolo della tecnica è stato ideato da un team di scienziati dell’Università di Stanford e dello Slac National Accelerator Laboratory, negli Stati Uniti ed è descritto in maniera approfondita in un articolo sulla rivista Science. Si tratta di acceleratori di particelle integrati un chip di silicio. Si potrebbe trattare di una vera e propria rivoluzione, simile a quella che permesso l’arrivo di PC compatti nelle case di tutti. L’idea in questo caso è di rendere più semplici, precisi ed accessibili i dispositivi per l’imaging medico, ma non è da escludere che si svilupperanno nuove applicazioni. Il gruppo di ricercatori guidati da Jelena Vuckovic hanno scavato un nano tunnel nel silicio dove gli elettroni possono viaggiare ed essere accelerati quasi come fosse nel vuoto. L’idea geniale è di utilizzare la luce laser per accelerare gli elettroni, al posto di enormi magneti.
Una serie di “acceleratori” in sezione
La luce per accelerare gli elettroni
Poiché i fotoni sono in grado di trasferire una quantità di moto agli elettroni, ci sono numerosi gruppi attivi per sviluppare acceleratori di particelle basati sui laser. Gli autori di questo progetto hanno sviluppato degli acceleratori di particelle integrati, utilizzando le ultime tecnologie fotoniche per ottimizzare l’interazione tra la luce e gli elettroni. Essi mostrano che è possibile aumentare l’energia di circa 0,9 kiloelettronvolt (keV) partendo da un gruppo di elettroni a 80 kV in uno spazio di appena 30 micrometri. Tali acceleratori di particelle laser dielettrici miniaturizzati potrebbero aprire applicazioni della fisica subatomica in numerose di discipline scientifiche e industriali.
Principio di funzionamento di un D
Infatti gli acceleratori di particelle già oggi rappresentano uno strumento indispensabile nella scienza e nell’industria. Tuttavia, le dimensioni e il costo di questi strumenti limitano l’utilità e la portata di questa tecnologia. Gli acceleratori laser dielettrici (DLA) forniscono una soluzione compatta ed economica a questo problema utilizzando impulsi laser di luce visibile o impulsi nel vicino infrarosso, con una conseguente riduzione di scala di 10.000 volte. Le attuali implementazioni dei DLA si basano su laser a spazio libero direttamente incidenti sulle strutture di accelerazione, limitando la scalabilità e l’integrabilità di questa tecnologia. Questa nuova tecnologia sperimentale di DLA integrato nella guida d’onda è basato sulla progettazione fotonica inversa. Confrontando gli spettri di energia degli elettroni misurati con le simulazioni, si deduce un guadagno massimo di energia di 0,915 keV in appena 30 micrometri, corrispondente ad un gradiente di accelerazione di 30,5 MeV per metro. Si può quindi pensare di riuscire ad integrare in uno spazio ridottissimo acceleratori di particelle di potenze nell’ordine dei MeV (LHC arriva fino a 7 TeV ovvero 7000 MeV).
Gli acceleratori di particelle vengono utilizzati per le radiografie
Il prossimo obiettivo è quello di integrare circa 1000 nanotubi – che fungono da guide d’onda – in un unico chip grande come un pollice. Questo permetterebbe di raggiungere le energie necessarie per far viaggiare gli elettroni al 94% della velocità della luce. Inoltre si sta tentando di sviluppare applicazione pratiche innovative nel campo della diagnosi dei tumori per una radioterapia più mirata e meno invasiva, soprattutto per i pazienti già colpiti dalla malattia che devono sottoporsi spesso a questi esami. Dalla sezione scienze è tutto, continuate a seguirci per tanti altri approfondimenti e news!
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