Bentornati al nostro appuntamento settimanale con In the mood for East, rubrica interamente dedicata al cinema orientale. Oggi vi parliamo di Che ora è laggiù? di Tsai Ming-liang
Come ogni lunedì, eccoci ancora una volta giunti al nostro appuntamento con la rubrica In the mood for East, per approfondire assieme le perle del cinema asiatico. Se avete seguito i consigli delle scorse settimane, ora sarete un po’ più pratici e in confidenza con la cinematografia orientale, perciò siete pronti a fare un ulteriore passo in avanti.
Questa volta ci spostiamo a Taiwan, ma non solo. Per la prima volta avremo una doppia ambientazione, una orientale e una occidentale: Taipei e Parigi. Cosa accomuna queste due città così diverse, la caotica e affollata Taipei e la romantica Parigi? Cosa accomuna due popoli così differenti, se non quel senso si solitudine comune denominatore di un’umanità costretta tra le imposizioni di una società che non riesce ad andare oltre la superficie?
Dopo aver trattato la solitudine vista attraverso gli occhi di Wong Kar-wai, questa volta ci soffermiamo su quella ancora più estrema del regista taiwanese Tsai Ming-liang. Il suo Che ora è laggiù?, candidato alla Palma d’oro nel 2001, è la rappresentazione perfetta di questa poetica urbana alienante e decadente. Senza ombra di dubbio Tsai Ming-liang è uno degli autori che, con il suo modo rivoluzionario di fare cinema, ha più saputo costruire nel tempo una maniera tutta personale di intendere l’arte.
Trama e trailer | Che ora è laggiù?
https://www.youtube.com/watch?v=I-c_C0lUOYY&ab_channel=NYCBLOCKS
Parlare di trama, per un’opera come questa, si rivela un’operazione non semplice. O meglio, si può delineare una trama, ma questo non basta per descrivere l’essenza della pellicola.
Hsiao-kang (Lee Kang-sheng) è un venditore di orologi ambulante che ha appena perso il padre (Tien Miao). La sua vita scorre solitaria, e l’unica presenza fissa è quella della madre (Lu Hsiao-ling), con cui condivide l’appartamento. La donna però, dopo la perdita del marito, comincia a sviluppare un’ossessione, nella costante attesa che il defunto torni a casa sotto forma di spirito.
Un giorno, Hsiao-kang incontra una ragazza, Shiang-chyi (Chen Shiang-chyi), in procinto di partire per Parigi. Dopo varie insistenze, la ragazza lo convince a vendergli l’orologio lasciatogli in eredità dal padre. Per ricambiare il favore, lei regala a Hsiao-kang un dolce. Questo basterà per far scattare la scintilla nel giovane. Da quel giorno comincia a sincronizzare tutti gli orologi che vede (e nel film ce ne sono tanti) sull’orario della capitale francese, e a guardare ossessivamente I quattrocento colpi. Nel frattempo, la ragazza a Parigi conduce una vita da turista malinconica e solitaria. Non importa che si trovi nella sua stanza d’albergo, in metro o in un affollato café parigino, perché la solitudine è un qualcosa che ci si porta dentro.
Il montaggio alternato a cui il regista ricorre per mostrarci le vite dei due ragazzi rappresenta l’unico punto di incontro tra due solitudini incolmabili.
Due città, la stessa solitudine | Che ora è laggiù?
Il caos e la tendenza all’individualismo di Taipei sono gli stessi che Shiang-chyi incontra a Parigi. In entrambi i casi troviamo due città frenetiche, dove non c’è tempo per fermarsi a pensare, e soprattutto a malapena c’è il tempo per provare empatia per il prossimo. Ci si sente stranieri in una città straniera, ma ci si può sentire stranieri anche a casa propria. L’impossibilità di comunicare diventa una difficoltà che sembra insormontabile, anche nelle cose più piccole.
In Che ora è laggiù? la solitudine si manifesta in tanti modi. Con l’incapacità di costruire relazioni, come quella di Hsiao-kang. Con la difficoltà nel trovare la propria dimensione di Shiang-chyi. Con il dolore legato alla perdita di una persona cara, come quella della madre. E Tsai Ming-liang, col suo pessimismo di fondo, sembra volersi beffare anche di questo dolore, facendo comparire lo spirito del marito defunto non a casa, finalmente ricongiunto con la sua consorte, bensì a Parigi, intento a recuperare la valigia della ragazza da un laghetto.
Forse l’amore è l’unico sentimento che ci può salvare, ma per il regista il cammino verso il suo raggiungimento è pieno di ostacoli.
Un cinema complesso | Che ora è laggiù?
Il cinema di Tsai Ming-liang non è un cinema di semplice fruizione. Spesso ostico, poco accomodante. Nel corso della sua carriera, il regista non ha mai cercato soluzioni facili per esprimere la sua poetica, e Che ora è laggiù? ne è l’ennesima conferma. Inquadrature fisse, pochi dialoghi, nessuna colonna sonora extradiegetica. Non c’è azione: alcuni potrebbero dire che nelle quasi due ore di film non succeda nulla. Ciò che ci viene mostrato è tutto quello che di solito viene “tagliato”, mentre altri eventi significativi – come la morte del padre – vengono lasciati al di fuori della macchina da presa. Tutto quello che rimane sono piccoli gesti quotidiani, scene di vita qualunque, alcune un po’ bizzarre, altre assolutamente normali. Un concetto di tempo ancora una volta così diverso da quello a cui siamo abituati, nella vita e nell’arte. Un tempo che scorre implacabile, un tempo che spesso diamo per scontato.
Non tutti gli spettatori saranno disposti a stare al gioco, a farsi trascinare in questa lenta panoramica sull’animo umano. Il consiglio è, ovviamente, quello di avere pazienza e di provarci. Perché il tempo è la chiave di tutto.
Come sempre, vi invitiamo a seguire i nostri speciali dedicati a cinema e serie TV su questa pagina, e rinnoviamo l’appuntamento al prossimo lunedì con In the mood for East!
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