Benvenuti nella nostra nuova rubrica dal nome “In the mood for Oriente”, uno spazio interamente dedicato al cinema asiatico, in cui di volta in volta vi consiglieremo i film da non perdere per nessuna ragione al mondo! Partiamo con Un affare di famiglia di Hirokazu Kore’eda
Diciamoci la verità: per molti di noi “occidentali” il cinema orientale è sempre stato un po’ ostico e a volte difficile da digerire. Troppo lontano dai nostri tempi cinematografici o dai nostri usi e costumi, spesso silenzioso, violento, bizzarro. Ma, come i festival di tutto il mondo dimostrano da qualche anno a questa parte, la cinematografia asiatica (Giappone e Corea del Sud in testa) merita in realtà una grande attenzione. E a renderlo ancora più evidente c’è stata, ovviamente, la vittoria agli ultimi Premi Oscar di Parasite, summa del cinema di Bong Joon-ho.
La nostra nuova rubrica, “In the mood for Oriente”, è dedicata a tutti. A chi già ama il cinema orientale, per riviverne le emozioni. A chi ha voglia di avvicinarsi a questo mondo affascinante. Ma anche a chi ne è un po’ intimorito. Sono tantissimi i film e i registi che meriterebbero una menzione, e con questo appuntamento settimanale speriamo di riuscire a rendergli giustizia.
Oggi partiamo con un gigante della cinematografia del Sol Levante, Hirokazu Kore’eda, e il suo Un affare di famiglia.
Un affare di famiglia, capolavoro di Hirokazu Kore’eda
Avete presente le famiglie in stile Mulino Bianco? Quelle perfette, che vivono in una casa perfetta, che ogni mattina si riuniscono attorno ad una tavola perfetta per fare colazione tutti assieme, tutti felici e contenti? Ecco, scordatevi subito questa immagine. Nella filmografia del Sol Levante – e in particolar modo in quella di Hirokazu Kore’eda – le dinamiche familiari sono infatti spesso molto diverse. Le famiglie a cui i registi nipponici ci hanno abituati sono singolari e fuori dagli schemi.
Un affare di famiglia (conosciuto a livello internazionale come Shoplifters), penultimo film di Hirokazu Kore’eda, è il meritatissimo vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2018, e candidato come miglior film straniero ai Premi Oscar dell’anno successivo (battuto poi da Roma, di Alfonso Cuarón). La pellicola costituisce un tassello nuovo e probabilmente definitivo nell’indagine delle dinamiche familiari all’interno della vasta filmografia di Kore’eda. Senza troppi dubbi, possiamo infatti considerarlo come il punto più alto di un discorso coerente che ha caratterizzato la sua carriera, durante la quale Kore’eda ha spesso trattato il tema della famiglia – ricordiamo ad esempio i bellissimi Nessuno lo sa, Father and son e Ritratto di famiglia con tempesta.
Trama e trailer | Un affare di famiglia
La pellicola si apre delineando quella che sembrerebbe una comune famiglia giapponese di basso ceto. A formarla vi sono Osamu (Lily Franky) e Nobuyo (Sakura Andō), una coppia con un figlio, Shōta (Jyo Kairi), a cui si aggiungono Aki (Mayu Matsuoka), sorella di lei, e la nonna, Hatsue (la compianta Kirin Kiki, scomparsa poco dopo l’uscita del film). I cinque vivono tutti assieme in una piccola casa stipata di oggetti, che probabilmente occupano abusivamente, e cercano di sopravvivere alla giornata, tra piccoli furtarelli al supermercato e lavori precari che difficilmente portano avanti per lunghi periodi.
Una sera, lungo la strada verso casa, Osamu e Shōta incontrano una bambina apparentemente abbandonata (Miyu Sasaki), e decidono di accoglierla all’interno della loro già numerosa famiglia, in seguito alla scoperta dei maltrattamenti subiti dalla piccola.
È possibile scegliere i legami familiari? | Un affare di famiglia
Scopriamo dunque che nessuno dei membri della famiglia Shibata è in realtà legato da vincoli familiari. In un mondo in cui notoriamente “la famiglia non si sceglie”, i nostri hanno invece deciso (chi consapevolmente, chi meno) di scegliersi e creare a loro modo una famiglia con la quale proteggersi dal mondo. Attraverso l’abile modo con cui Kore’eda riesce a tratteggiare lievemente la vita quotidiana dei personaggi, è ben chiaro che questa “scelta” non solo sia dettata da motivi affettivi, ma anche (e soprattutto) da motivi economici. Ciò che tiene in piedi la famiglia è in sostanza un mix di amore e necessità, aspetto che viene delineato spesso dai dialoghi e dalle vicende a cui assistiamo.
Il nuovo concetto di famiglia è perfettamente integrato all’interno della società giapponese, come Kore’eda ha sostenuto nel corso di un’intervista:
La cosiddetta “famiglia ideale” è considerata oggi un concetto superato. I valori familiari in Giappone si stanno aggiornando, ci stiamo avvicinando a una concezione più moderna della famiglia. Si lavora molto sulla formazione morale dell’individuo e della coppia, altrettanto per riconoscere alle donne un ruolo più attivo nella società. Anche se ci sono ancora troppi uomini che vorrebbero costringere le donne a casa a crescere i figli, sono stati fatti molti passi avanti. Se una donna vuole in Giappone oggi può anche conservare il “cognome da signorina”… Qualcuno sostiene che le “nuove famiglie” non prestino le cure necessarie ai propri figli ma io credo che si potrebbe dire la stessa cosa di quelle tradizionali. Personalmente faccio film sulla famiglia per testarle, indagarle, fare il punto alla luce dei cambiamenti sociali.
Dilemmi e integrità morale
Kore’eda riesce a portare a compimento la sua opera senza cadere nel facile ammiccamento allo spettatore. Proporre personaggi integri e onesti sarebbe stata la scelta più ovvia, imponendo al pubblico una visione semplicistica per cui i legami affettivi siano più veri e preziosi dei legami consanguinei. E invece abbiamo di fronte una serie di personaggi che nella nostra società sarebbero di certo considerati di dubbia moralità, i cui comportamenti sono difficilmente giustificabili. Basti pensare ai furti, al lavoro nel night club, al continuo parlare di denaro, alla poca propensione al lavoro. Tutte cose per chiunque moralmente inaccettabili, ma che all’interno della famiglia Shibata sono invece considerate normali, un modo come un altro per tirare avanti.
A tutto ciò si affiancano però momenti quotidiani di rara tenerezza. Tra tutte la giornata in famiglia passata al mare, il rapporto tra Aki e la nonna, la magnifica scena dei fuochi d’artificio, l’abbraccio tra Nobuyo e la piccola Juri mentre la prima spiega alla seconda che l’amore non ha nulla a che fare con la violenza, il saluto finale tra Osamu e Shōta.
Tutto questo, bassezza morale e sentimento, coesiste perfettamente senza scavalcarsi all’interno del microcosmo tratteggiato da Kore’eda, portandoci a riflessioni per niente scontate e banali a proposito del ruolo della famiglia nella nostra società.
Se ve lo siete perso, è arrivato il momento di recuperarlo. Se già lo conoscete… potete sempre approfittarne per rivederlo!
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