L’accoppiata franco-nipponica Damien Manivel e Kohei Igarashi con Takara – La notte che ho nuotato racconta la curiosità dell’infanzia e il legame silenzioso con la figura paterna, in un film minimalista ma poetico
TITOLO ORIGINALE: Takara – La nuit où j’ai nagé. GENERE: Drammatico. NAZIONE: Francia, Giappone. REGIA: Damien Manivel, Kohei Igarashi. CAST: Takara Kogawa, Keiki Kogawa, Takashi Kogawa, Chisato Kogawa. DURATA: 79 minuti. DISTRIBUTORE: Tycoon Distribuzione. USCITA: 23/05/2019.
Ogni giorno un uomo in Giappone esce di casa all’alba per lavorare nel locale mercato del pesce. Una mattina sveglia inavvertitamente suo piccolo figlio, che non riuscirà più ad addormentarsi. Pensando al padre che vede molto raramente, invece, fa un disegno e, invece di recarsi a scuola, comincia a passeggiare in diversi luoghi di un Giappone invernale. Parte così un film che mostra attraverso gli occhi del bambino ogni sua scoperta, e ci porta a scoprirci a nostra volta.
Frutto di una curiosa collaborazione alla regia tra Damien Manivel e Kohei Igarashi e distribuito da Tycoon Distribution, Takara – La notte che ho nuotato è un lavoro minimalista ed ermetico, che galleggia ai confini del cinema di sperimentazione. Suddiviso in tre capitoli – in ordine Il disegno, Il mercato del pesce e Un lungo sonno – è un’esperienza circolare che ruota semplicemente attorno a quelle piccole cose e ai piccoli gesti che circondano la routine di tutti i giorni. Eppure, ha una sua grandezza.
Gli occhi dell’infanzia | Recensione Takara – La notte che ho nuotato
Lungo gli ottanta minuti circa che costruiscono il film, le riprese raccontano una giornata particolare di un ragazzino di sei anni. Una giornata qualsiasi, che inizia con una sveglia molto mattiniera e prosegue con una piccola avventura. All’inizio tra le mura domestiche, ma poi sempre oltre, andando a scoprire un paesaggio dominato dal bianco della neve. Per un giorno il bambino si comporta da grande vagando girovagando per una città torpida.
L’infanzia che cerca i suoi confini ed il legame silenzioso con la figura paterna fanno da tessuto connettivo al racconto. La pellicola avanza completamente muta. Nonostante sia ben sostenuta da un efficace sonoro, tuttavia, la scelta dell’assenza di dialoghi appare discutibile, dà persino un’impressione di pigrizia. Certo, la figura del piccolo Tamara Kogawa riesce a colorarsi di tinte quasi eroiche, però si ha l’impressione di vedere le scene troppo dall’esterno, la mancanza di parole è quasi alienante.
Un one child show | Recensione Takara – La notte che ho nuotato
Il realismo tuttavia non manca, ed è assicurato per lo più da un bambino in alcun modo speciale. Anzi, come tanti è alle volte impacciato, sempre tenero e comunque routinario. Inciampa in contrattempi a volte buffi, ma che comunque rappresentano per lui un’esperienza. Quando coi piedi inzuppati si scrolla la neve dagli scarponcini, rischia di perdere il treno. Nel viaggiare con i mezzi che lo porteranno a scuola perde un guanto. Dimentica per strada il suo zainetto, salvo tornare sui suoi passi a riprenderlo.
Per un bambino vivace, abituato a trascorrere molto tempo da solo, con lo sguardo ancora tutto da plasmare, ogni piccola cosa esercita un’attrazione irresistibile, mutando completamente l’interesse in un batter di ciglia, spingendolo continuamente fuori percorso. Dopo ventiquattro ore di piccole scoperte approda semplicemente al punto di partenza. Insomma, niente di più semplice, eppure niente di più lontano dallo spettatore.
Un’occasione di introspezione | Recensione Takara – La notte che ho nuotato
Immaginando, infatti, che lo spettatore medio sia adulto, logica conseguenza è che questa brama di scoperte sia ormai persa da tempo. Takara- La notte che ho nuotato, ci ricorda proprio questo. E, forse, anche che non è mai troppo tardi per tornare con la mente e il cuore indietro nel tempo e vedere il mondo con occhi nuovi. Il viaggio di scoperta è quindi interiore e assolutamente condivisibile.
Un percorso leggero come un fiocco di neve che scende lentamente e si lascia guidare dal vento. Di fronte all’invasione di un cinema sempre più artificioso, alla ricerca di colpi ad effetto, Damien Manivel e Kohei Igarashi reagiscomo con un minimalismo quotidiano. Semplicità purissima e incontaminata, quasi quanto il protagonista e gli ambienti.
Espressività nel paesaggio | Recensione Takara – la notte che ho nuotato
Un autentico, quanto inaspettato, protagonista del film è l’ambiente. Per lo più naturale e lontano dalla rumorosa urbanizzazione, è semplicemente inebriante. Un Giappone coperto dalla soffice neve, in cui il tempo sembra scorrere più lentamente. La fotografia è davvero eccellente, non lascia niente al caso, in ultima analisi, dà al film qualcosa in più che sopperisce al mutismo.
In conclusione, Takara – La notte che ho nuotato, ci immerge in un panorama immacolato, sia dal punto di vista materiale che dal punto di vista umano. Un luogo, un momento, una vita come tanti, ma allo stesso tempo unici. Nella sua essenzialità ci invita a ritrovarci e a ritrovare il senso della scoperta. È, quindi, un esperimento gradevole, minimalista e in definitiva riuscito.
Punti a favore
- Le splendide ambientazioni
- Le musiche, che accompagnano delicatamente il viaggio
- L'ideale di fondo della scoperta
Punti a sfavore
- L'oziosa scelta del silenzio
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