Netflix sforna un noir sudcoreano violentissimo e malinconico, da non perdere assolutamente: ecco la nostra recensione di Night in Paradise
TITOLO ORIGINALE: Nagwonui bam. GENERE: drammatico, thriller, gangster movie. NAZIONE: Corea del Sud. REGIA: Park Hoon-jung. CAST: Uhm Tae-goo, Jeon Yeo-been, Cha Seung-won, Lee Ki-young, Park Ho-san, Cho Dong-in. DURATA: 131 minuti. DISTRIBUZIONE: Netflix. USCITA: 9 aprile 2021.
L’ultimo anno ha dato sicuramente una svolta al nostro modo di approcciarci al cinema. Fino a pochi anni fa la sala era considerata il luogo in cui “vivere” realmente l’esperienza filmica. Lo streaming, al contrario, era guardato con diffidenza da parte dei cinefili più puristi. Ad oggi, oltre un anno di pandemia e lockdown ha invece cambiato completamente le carte in tavola. L’impossibilità di godere della visione in sala ha portato l’industria cinematografica a optare per una visione casalinga – eccetto rari casi, vedasi alla voce Christopher Nolan. Ecco allora che sulle piattaforme streaming, dapprima bistrattate, cominciano a fioccare titoli importanti e film d’autore che in passato probabilmente non avremmo visto. Dai festival direttamente online: ecco la nuova regola del cinema moderno.
Si potrebbe aprire un discorso vastissimo a riguardo, ma ci limitiamo a dire che dal 9 aprile su Netflix è disponibile uno di quei film imperdibili, capaci di mettere d’accordo tutti: critica e pubblico, amanti del cinema d’autore e amanti del cinema d’intrattenimento. Night in Paradise, del sudcoreano Park Hoon-jung, è stato per l’appunto presentato (fuori concorso) alla 77esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Lo sceneggiatore di I Saw the Devil (2010) riprende le atmosfere brutali e il tema della vendetta dal celebre film di Kim Ji-woon, costruendo un gangster movie spietatissimo ma anche struggente e poetico. Dramma, melodramma, azione, violenza. Non manca nulla, e le oltre due ore di visione scorrono velocissime, lasciando lo spettatore sgomento di fronte a questo crudele bagno di sangue.
Trama e trailer | Recensione Night in Paradise
Park Tae-gu (Uhm Tae-goo) è uno degli uomini di punta di un’organizzazione criminale della Corea del Sud – la gangpeh, equivalente coreano della yakuza giapponese. L’uomo, schivo e taciturno, è conteso tra diverse gang, ma è allo stesso tempo deciso a cambiare vita per dedicarsi alla sorella, malata terminale, e all’amata nipotina. Le due vengono improvvisamente uccise in un attentato indirizzato al gangster, e quest’ultimo decide di vendicarsi tentando di uccidere il capo del clan responsabile.
Costretto a fuggire sull’isola di Jeju, si ritrova ospite di un ex gangster e trafficante di armi, e della ancor più schiva Jae-yeon (Jeon Yeo-been), nipote dell’uomo anch’essa malata terminale. Nella settimana che lo separa dalla sua fuga definitiva (in accordo con la sua banda) tra i due nasce uno strano rapporto. Entrambi sono infatti consapevoli che la morte è vicina, per un motivo o per l’altro. Le cose precipitano quando Tae-gu scopre che Mr. Yang (Park Ho-san), il suo capo, l’ha venduto alla gang rivale per salvarsi la vita. Gli eventi non potranno che dare luogo ad un incontrollabile spargimento di sangue.
Una violenza necessaria | Recensione Night in Paradise
Il revenge movie ha fatto grande fortuna nel cinema asiatico. D’altronde, considerando l’alta qualità dei titoli proposti, non è difficile spiegarsi il perché. Da un lato abbiamo la carica emotiva che questo genere di regolamento di conti – criminali o personali che siano – portano con sé. Dall’altro lato abbiamo un modo completamente diverso, rispetto a quello occidentale, di affrontare i sentimenti, le emozioni, la crudeltà delle azioni.
Night in Paradise si aggiunge a quella schiera di film che ha già reso grande il cinema coreano. Elemento comune a tutti questi titoli è, ovviamente, la violenza. Il merito del cinema orientale è quello di non rendere mai la violenza fine a se stessa. Sarebbe sbagliato definire Night in Paradise semplicemente un film d’azione, o un gangster movie. In Night in Paradise la violenza ha un senso, è centrale ma non disturbante, è parte integrante di una storia. Efferata ma necessaria, inevitabile e spaventosa. Le sequenze action non sono invasive, ma efficaci e ben orchestrate. La cupa scia di violenza seminata per tutta la storia non può che esaurirsi in un finale iperviolento e totalmente privo di speranza , nella migliore tradizione pulp.
Amore e morte | Recensione Night in Paradise
Al lato opposto troviamo un sottofondo di malinconia perfettamente incastrato in mezzo a tutte queste sanguinose vicende. La serenità data dalla natura, e in particolare dal contatto con il mare (qualcuno ha detto Sonatine?) è esplicativa in questo senso. Il sapore di una zuppa di pesce fa riaffiorare ricordi lontani e preziosissimi. Park Hoon-jung presenta la sua visione di violenza e morte romantica, nel senso più letterario del termine.
La scia di vendetta e violenza che percorre tutto il film diventa alla fine la vendetta di chi non ha più nulla da perdere. Se ci pensiamo, Tae-gu e Jae-yeon si incontrano in un momento particolare per la vita di entrambi. La vita dell’uno è ormai segnata dal suo passato malavitoso, e la perdita delle uniche persone a lui care lo pone nella condizione di non avere più nulla per cui vivere. L’altra ha già perso da tempo la propria famiglia, e la sua malattia la fa scontrare con un inevitabile destino. I due si trovano in sostanza uniti proprio dall’inesorabilità della morte.
Night in Paradise diventa inoltre una riflessione su vendetta, onore e giustizia nel codice criminale, in cui ogni personaggio tratteggia una visione differente rispetto alle dinamiche della storia.
Conclusioni
Park Hoon-jung si rifà al già citato Takeshi Kitano in quel miscuglio di dramma, sangue e poesia caratteristica del più noto regista giapponese. Dal canto suo, riesce a equilibrare bene gli elementi che contraddistinguono il dramma, lo yakuza movie e il noir, anche se le opere del maestro sono per forza di cose inarrivabili.
Se volessimo fare un rimprovero al regista sudcoreano, potremmo lamentare la poca attenzione data all’ambiente circostante. Il “paradiso” del titolo, fonte di tranquillità e di possibile espiazione, poteva trovare ben altro spazio nella vicenda, e di fatto sarebbe dovuto essere un vero e proprio personaggio. Si sceglie invece di relegarlo a pochi (ma intensi) momenti e ad alcuni fotogrammi nei titoli di coda. Con quel tocco in più, la vicenda avrebbe avuto una carica poetica maggiore. Beat Takeshi insegna.
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Punti a favore
- Buon equilibrio tra violenza e intimità
- Il climax finale
- Personaggi e interpretazioni
Punti a sfavore
- Poca attenzione data all'ambientazione
- Se cercate solo action, non fa per voi
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