Corre in questi giorni l’anniversario della morte di quello che è stato, probabilmente, il regista più influente di tutti i tempi: Stanley Kubrick. Diamo insieme un breve sguardo alla sua carriera
Sono passati vent’ann i da quando, nel sonno, si spegneva il regista più dirompente, talentuoso, rivoluzionario di tutti i tempi, Stanley Kubrick. Il cineasta statunitense ha fatto qualcosa riuscita a pochissimi: diventare paradigma sull’infallibilità e la perfezione dell’essere cineasta, preferendo sempre la qualità alla quantità. 13 film in una carriera di 39 anni che sono rimasti, e rimarranno nel tempo, autentici metri di giudizio, obiettivi che ogni regista vorrebbe raggiungere. I suoi film non invecchiano, non passano mai di moda.
La bravura di Kubrick ha fatto sì che oggi quasi tutti, pensando al suo nome, hanno negli occhi un frame, una inquadratura, una sequenza paradigmatica, qualcosa che si avvicina in modo disarmante al cristallizzare la potenza visiva del cinema. In qualsiasi genere si sia cimentato, dalla fantascienza all’horror al drammatico, il regista fotografo è stato lapidario e preciso. Da esteta ricercato, puntiglioso e attentissimo ha vagliato ogni sfaccettatura della natura umana. E in molti ne traggono ispirazione.
I suoi film hanno una carica dirompente, benché la sua arte visionaria sia stata in più di una occasione imbrigliata. Nonostante il regista controllasse personalmente, dall’inizio alla fine, anche il doppiaggio e le versioni internazionali dei suoi film. La violenza, l’erotismo, la critica sociale che avrebbe potuto essere non sempre è stata. Analizziamo oggi solo alcune, pochissime, opere nella lunga lista di capolavori.
Shining: l’elogio della follia
Il segreto (se così si può dire) di Stanley Kubrick è che conosceva e seguiva ogni passo della lavorazione, dando la parola finale su ogni possibile variazione della sua proprietà intellettuale e artistica. Un esempi in concreto è stato proprio Shining: nel film basato sul manoscritto omonimo scritto da Stephen King nel 1977, Kubrick scelse personalmente le frasi che dovevano sostituire il proverbio che Jack Torrance batte ossessivamente a macchina invece di scrivere il suo romanzo, la cui scoperta terrorizza Wendy, prima della celebre scena sulle scale. Per l’Italia la scelta era caduta su “Il mattino ha l’oro in bocca”. Frase che, naturalmente, ha un impatto psicologico molto più forte sullo spettatore italiano del vedere ripetuto per pagine e pagine un proverbio in un’altra lingua.
Il film mostra una perfezione appagante. L’interpretazione personale del romanzo migliora il materiale di base. L’ossesione di Kubrick lo porta ad analizzare con lucidità l’essenza del genere, elaborando al contempo un percorso del tutto personale. Indimenticabile la scena finale, che fa lasciare la sala allo spettatore con un brivido in più.
Arancia meccanica: la noia dietro la violenza
Geniale traversata di generi (fantascienza, storico, drammatico, comico, grottesco, orrore), è un film che mostra la violenza per esserne un contro-manifesto. Che fa passare il protagonista, Alex, dall’essere un carnefice all’essere una vittima. Un personaggio ambiguo, che mostra le diverse violenze della medicina, della polizia, della politica e della gente comune. Le ricercate musiche, da Beethoven a Singing in the rain, accrescono l’immersione nell’incubo creato dalla vivace fotografia.
In molti hanno provato a imitarlo, nessuno ci è riuscito.
Eyes Wide Shut: l’opera postuma di Kubrick
Il film, con gli allora coniugi Tom Cruise e Nicole Kidman, distribuito nell’autunno 1999 a pochi mesi dalla morte di Stanley Kubrick, fece tanto discutere a causa dei contenuti estremi, dei vip coinvolti e della lavorazione interminabile. Ogni film di Kubrick era un terremoto, ma qui cìè stato qualcosa di più: nel film tratto dal romanzo Doppio sogno di Arthur Schnitzler si chiudono carriera e vita di una pietra miliare. Che, come ultimo passo dell’autopsia dell’umanità, ci racconta la verità ultima sul sesso.
Alta borghesia, alto censo, belle case, bella gente. Che non ha scampo contro la forza della passione che lavora sulla loro coscienza, penetrando nei loro incubi ecambiando le loro vite. Il sesso è una cosa seria e misteriosa, dolorosa e, soprattutto, pensata. Kubrick affronta così la psicoanalisi, che denuda l’inconscio dietro l’onirico, con una messa in scena di eleganza sottile. Il colpo di genio definitivo è il casting dei protagonisti: da vero fruitore viscerale della settima arte, sceglie una coppia anche nella vita di fama stratosferica. Gli attori saranno imbarazzati da scene che nessun altro li chiamerebbe a girare. Ancora una volta l’essenza stessa della settima arte pervade la realtà.
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