Oggi, 11 dicembre, diciamo addio a uno dei più grandi registi sudcoreani: Kim Ki-duk è morto in Lettonia all’età di 59 anni
Questo 2020 è stato un anno decisamente sfortunato per il cinema. E non solo a causa dei problemi legati alla difficile situazione che stiamo vivendo. Sono tante le grosse perdite che la settima arte ha subito nell’ultimo periodo.
A queste si aggiunge uno dei più celebri registi sudcoreani: è morto oggi, 11 dicembre, Kim Ki-duk. L’acclamato regista, sceneggiatore e produttore aveva solamente 59 anni e si trovava in Lettonia. Il sito Delfi.lt annuncia che la sua scomparsa è avvenuta in seguito a complicanze legate al covid-19.
Noi di tuttoteK vogliamo approfittare di questa triste notizia per ricordare il valore inestimabile dell’arte che Kim Ki-duk ha lasciato al mondo del cinema.
Kim Ki-duk: il cinema del silenzio
Per questo faccio film: tentare di comprendere l’incomprensibile.
È innegabile quanto il cinema sudcoreano contemporaneo abbia subito l’influenza e l’impronta dell’opera artistica di Kim Ki-duk. Il suo non è un cinema semplice, anzi spesso è definito controverso, difficilmente assimilabile. Ma è stato in tutto e per tutto motivo di ispirazione per la new wave sudcoreana, e non solo. La sua maestria tecnica, le sue immagini suggestive e il profondo legame con l’arte, l’utilizzo degli spazi e del tempo, la sua sensibilità anche nel trattare le tematiche più cupe.
La sua carriera, estremamente prolifica, comincia negli anni Novanta, durante i quali dirige Coccodrillo, Wild Animals e The Birdcage Inn. Nel 2000 comincia a farsi notare a livello internazionale nei festival cinematografici, con L’isola. Ed è nel 2003, con Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera, che diventa davvero un punto di riferimento nel cinema mondiale. Il 2004 è decisamente il suo anno: La samaritana vince l’Orso d’oro per la miglior regia al 54° Festival del Cinema di Berlino. Poco più tardi, arriva il suo capolavoro, cinema di emozioni e di silenzio: Ferro 3 – La casa vuota, con il quale vince un Leone d’argento per la regia alla 61° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Ogni suo film meriterebbe di essere menzionato. Ricordiamo in particolare la sua riflessione sul tempo, i cambiamenti e le relazioni umane in Time (2006), e i controversi Pietà (2012), vincitore del Leone d’oro alla Biennale di Venezia, e Moebius (2013), capaci di dividere in maniera così netta pubblico e critica.
Kim Ki-duk, con il suo personalissimo modo di intendere arte e cinema, ha cambiato profondamente anche il nostro sguardo verso di essi. Oggi perdiamo un vero maestro, ma ci rimane il suo lascito più importante, la poesia espressa nei suoi film.
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